E se la realtà che percepiamo fosse solo una proiezione? Se tutto ciò che vediamo, tocchiamo e viviamo non fosse altro che un’immagine tridimensionale, emanata da un livello più profondo e nascosto della realtà?
Questa è l’audace ipotesi dell’universo olografico: ogni parte del cosmo contiene l’informazione dell’intero, proprio come accade in un ologramma, dove ogni frammento riflette il disegno completo.
Fisica quantistica e coscienza interconnessa
I pionieri di questa visione, come il fisico David Bohm e il neurofisiologo Karl Pribram, hanno osato spingersi oltre le teorie classiche. Bohm parlava di un “ordine implicito”, una realtà invisibile ma fondamentale da cui emerge tutto ciò che conosciamo. Pribram, invece, sosteneva che anche il cervello umano potrebbe funzionare come un ologramma, interpretando frequenze invece di registrare immagini statiche.
In questa prospettiva, la coscienza stessa non è isolata nel cervello, ma unita a un campo più vasto, condiviso, cosmico.
Le antiche tradizioni lo avevano già intuito
Molto prima della fisica moderna, le antiche scuole spirituali – dal Vedanta all’Ermetismo, dal Buddhismo tibetano ai mistici sufi – avevano già espresso una visione simile: l’universo come uno, indivisibile, dove tutto è in relazione con tutto.
Concetti come “come in alto così in basso”, o “la goccia è l’oceano e l’oceano è nella goccia”, risuonano perfettamente con l’idea che ogni singolo elemento dell’esistenza contenga l’intero schema del creato.
Un cambio di paradigma: dalla separazione all’unità
Se davvero l’universo fosse un ologramma, cosa significherebbe questo per la nostra vita quotidiana?
La spiritualità e la scienza smetterebbero di essere antagoniste, rivelandosi parti complementari di una stessa verità più grande.
Ogni relazione, ogni evento, ogni esperienza avrebbe un significato profondo, non separato dal tutto.
La guarigione, fisica o spirituale, potrebbe passare attraverso un riequilibrio delle informazioni olografiche nel nostro corpo-mente.
Tutto è Uno, in ogni cosa è il Tutto
Riconoscere che ogni frammento del reale contiene l’intero, significa abbandonare la visione dualistica per abbracciare una coscienza unificata. È un invito a vedere il divino in ogni cosa, a superare la separazione tra dentro e fuori, tra soggetto e oggetto, tra materia e spirito.
Invito alla riflessione (e all’approfondimento!)
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